66° Nordur 2.0

chi fa da sè fa per tre

Last day in the wonderland

La sveglia è implacabile. Ultimo giorno nella wonderland, ma nessuno ha voglia di buttarsi giú dal letto! Reykjavik e le ultime compere ci aspettano. Siamo un pó frastornati dalle macchine e dalla vita umana della capitale. Un salto a Hallgrímskirkja, la cattedrale futuristica di Reykjavik. Un gatto un pó brighella ci fa compagnia (anche se l’impressione è che preferisca stare per i fatti suoi, da vero cittadino). Una tisana di muschio ed erbe islandesi e via, si ritorna in viaggio. Direzione Grindavik, ridente cittadina sulla costa battuta da un vento incessante. La strada è la stessa che abbiamo percorso dall’aereoporto il giorno che siamo arrivati per raggiungere la capitale. C’è un pó di malinconia nell’aria. Parcheggiate le valigie all’Artic B&B, prendiamo costume ed asciugamano, la Blue Lagoon ci aspetta! Cinque minuti di viaggio circondati da un deserto di lava muschiata ed ecco i fumi del lago termale in cui tra pochissimo ci immergeremo. Sulla strada alcuni operai lavorano su alcune tubature rosse che portano l’acqua giá calda nei dintorni. Ecco l’ingresso della laguna blu. In quattro e quattrotto siamo in costume,  l’aria è a 10°. Pochi passi e siamo in acqua. Il colore dominante é il bianco del silicio, l’odore quello dello zolfo, il tepore quello della Terra. Siamo circondati da vapori sulfurei,  bocche fumanti, lava, sotto ai piedi sentiamo il fondo irregolare del lago.. Dura la vita. Chiappe al caldo, respiriamo quest’odore che in altre situazioni è considerato ripugnante. Ci cospargiamo il viso con una poltiglia bianca (anche Daniele!) e da veri lagunisti ci aggiriamo per il lago. Una sonora sciacquata alla faccia e ci buttiamo a capofitto in sequenza: bagno turco in caverna di lava, cascata d’acqua, sauna. Dopo queste immani fatiche, ci riposiamo in delle insenature immersi fino al collo.Inizia anche a piovere, che sensazione bizzarra sentire le gocce d’acqua picchiettarti la testa, e non aver la necessitá di cercare riparo. Durissima la vita. Dopo un paio d’ore le nostre membra ci suggeriscono di uscire.
L’ultima sera la passiamo in guesthouse, una breve passeggiata e qualche foto da National Geographic ad alcuni cavalli nella luce del tramonto. Tiro su il piumone e ripenso alle meraviglie della Natura viste in queste ultime due settimane. Sono contenta di cercare questo nel mondo, e non una cittá per fare shopping. È finita, ma questo è solo un arrivederci.
Martina

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Blowing in the wind

La sveglia oggi me la da il vento. Alle 2 del mattino. La sensazione che il nostro cottage balli e’ reale, cosi’ non mi resta che ascoltare le mie compagne di viaggio dormire fino all’alba. La cosa buona e’ che quando ci ributtiamo in strada la giornata e’ cosi’ radiosa e calda che non sembra neanche di essere a 30 km dal circolo polare.
La prima tappa ci porta a Vik, dove prendiamo d’assalto un capannone a pochi metri dalla spiaggia per fare incetta di lana. Maglione, giacca e gomitoli come se piovesse, tutto in valigia. Al piano superiore possiamo anche vedere le signore che la lavorano ancora come si faceva una volta. Qua l’automatizzazione non ha ancora avuto la meglio.
Passeggiamo un po’ sulla spiaggia nera di Vik disseminata di gabbiani morti e feriti che il vento pazzesco di oggi ha probabilmente schiantato sulla sabbia. Qua la natura e’ davvero spietata.
Dopo pranzo ci fermiano a Dyrhólaey a guardare le scogliere scolpite dalle intemperie e dai venti. La piu’ alta disegna un arco di pietra di 60 metri. E’ conosciuto come il ” santuario degli uccelli”, ma i pulcinella di mare se ne sono gia’ andati. Il nostro punto d’osservazione e’ alto, e solo per questo ci sentiamo sicuri. Oggi il mare e’ tanto affascinante quanto spaventoso. Onde violentissime s’inseguono senza sosta e impattano sotto di noi con una rabbia ineguagliabile. Il Mare del Nord. Si potrebbe stare ore a guardare questi giganti d’acqua che nascono dal niente e che crescono fino a bagnarci la faccia con i loro riverberi. Ci si sente minuscoli, infinitesimali.
Ripartiamo parecchio infradiciati (vero Ombretta?), la strada e’ ancora lunga.
Ci tocca di ammirare ancora la cascata di Skogar, stupenda nella sua perfezione (chiudete gli occhi e immaginate una cascata.ecco, quella e’ Skogarfoss), con il suo arcobaleno perenne ai suoi piedi. Dopo dieci giorni in esplorazione di lande desolate ora e’ tangibile l’avvicinarsi di Reykjavik. Ci sono piu’ turisti dappertutto, il che comporta almeno un pullman di giapponesi appostati in ogni dove.
Ancora qualche chilometro e ci sorprende un’altra cascata. Seljalandfoss e’ piu’ accessibile di Hengifoss, ma altrettanto divertente. La minor altezza e’ compensata da una portata e un getto d’acqua piu’ potenti, almeno in questa stagione. Ci avviciniamo rendendoci conto di poterle girare attorno a 360 gradi. Bellissimo fotografarla da dietro.
L’ora e’ tarda e le energia agli sgoccioli. Impieghiamo ancora piu’ di un’ora a raggiungere la meta. Finalmente torniamo a dormire in una vera fattoria, Sel. La casa e’ a dir poco magnifica. Si vede da ogni particolare quanto sia vissuta, ma il piu’ intenso e’ senz’altro la serie di vecchie foto sbiadite che troviamo in camera nostra. Uomini e donne nati due secoli fa, probabilmente. Nati e vissuti nella terra.
Questa notte sogni d’oro davvero.

daniele

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Il Vatnajokull e l’apoteosi dei ghiacciai

Quasi due settimane in Islanda e ancora non avevo visto del ghiaccio, se non da lontano.Oggi mi sono tolta la voglia! La giornata inizia sotto una coltre di nubi quasi ad altezza uomo e una leggera pioggerellina. Direzione Jökulsárlón, una laguna ai piedi del ghiacciaio Breidamerkurjökull dove sguazzano centinaia di iceberg di un azzurro luminoso. É una scena surreale, gli iceberg non esistono solo nei documentari! Pensate che, dopo essersi staccati dal ghiacciaio possono impiegare anche cinque anni ad uscire da questa laguna di soli 17 km^2. Inesorabilmente, il loro viaggio finirá nel mare, che si trova poi a soli 100 m di distanza. Accanto a noi vediamo una strana imbarcazione con le ruote, che scopriamo essere il mezzo anfibio con cui si organizzano delle mini “crociere” nella laguna. Vuoi mica che ci perdiamo un’occasione del genere?! Giubbottino salvagente indossato, i numerosi mezzi tecnologici su “on”, e via si parte! La barca a quattro ruote si immerge nell’acqua e noi ci troviamo in un attimo in Planet Earth (ndr:documentario della BBC). Immense sculture di ghiaccio ci circondano, alcune azzurre, altre nere di cenere vulcanica, altre ancora trasparenti. L’atmosfera è spettrale, quasi tocchiamo le nuvole con un dito. Ogni tanto la nebbia si alza e possiamo ammirare il ghiacciaio che si getta nella laguna a poche decine di metri da noi. Un gommone ci segue da vicino, probabilmente nel passato qualcuno si è spinto un pó troppo in lá per portarsi a casa l’immagine-ricordo perfetta ed è finito nell’acqua a 2°. Contrariamente a quello che pensavamo, la guida ci informa che è solo grazie all’assenza del sole che gli iceberg hanno quell’etereo colore azzurro.. Ma YEAH! L’amico sul gommone porta alla nostra guida un pezzo di ghiaccio e noi quindi si è assaporato un pezzo di iceberg vecchio di mille anni. Estiquatsi!!! Tornati sulla terraferma, seguiamo il fiume d’acqua che dalla laguna porta al mare. La spiaggia nera è costellata di iceberg e piccoli pezzi di ghiaccio. Il nostro angelo custode fa anche emergere dall’acqua una foca, non ci facciamo mancare proprio nulla!
A malincuore abbandoniamo la nursery degli iceberg e ci dirigiamo verso il parco nazionale di Skaftafell. Un’apoteosi di vette e ghiacciai che si ramificano dalla calotta glaciale del Vatnajökull. L’ennesimo primato dell’Islanda: questo signor ghiacciaio ha una superficie pari a quella dell’Umbria ed è il piú grosso “contenitore” di ghiaccio dopo i poli. Dalla nostra golf, vediamo lingue di ghiaccio spingersi a poche centinaia di metri dal bordo strada. Imbocchiamo una strada sterrata ed arriviamo ai piedi del ghiacciaio Svinafelljökull. Breve scarpinata e mille foto di rito. Nonostante la mia passione per la montagna, non ho mai visto un ghiacciaio del genere così da vicino.
Da circa una decina di chilometri stiamo inoltre attraversando il Skeidarasandur, una piana di sabbia immensa originata nei secoli dal Vatnajökull, non se ne vede la fine. Qui per 70km si vedono scorrere innumerevoli fiumi, erba artica di varie sfumature dall’arancione al verde scuro colora il paesaggio, nessuna pecora all’orizzonte.
Nella guesthouse di stasera si materializzano due cani, in spudorata ricerca di coccole. A parte le pecore, gli animali sono tutti cosí affettuosi qui.
Goda nótt.

Martina

ghiacciao meravigliao

cielo plumbeo e colazione con il peggior caffè di questi giorni, è ora di spostarci. per circa un chilometro viaggiamo ammirando alla nostra destra un arcobaleno addossato al crinale della valle. superato un tunnel di pochi chilometri ci lasciamo alle spalle la valle Fagridalur e la pioggia. attraversiamo Fáskrúdsfjördur, una cittadina fondata da pescatori francesi. ancora oggi i cartelli sono scritti in islandese e francese e le bandiere dei due paesi sono disseminate per la cittadina. ci inerpichiamo sullo sterrato per ammirare il mare e l’isola Skrûdur dal passo in cima al fiordo.
proseguiamo il nostro viaggio costeggiando i fiordi orientali. la strada si snoda parallela al mare, le alte scogliere erose dal vento fortissimo e i pascoli pecorosi in riva al mare rallentano il viaggio, ogni angolo impone una tappa fotografica. l’atmosfera in macchina è da mattina di natale, aspettiamo una nuova meraviglia ad ogni tornante, ogni cunetta superata. è un alternarsi di montagne a picco sul mare, ricovero di una moltitudine di uccelli, e valli. incontriamo diversi villaggi, tutti posizionati sulla costa. infine ecco imporsi nel nostro orizzonte il Vatnajökull, il ghiacciaio!
martina improvvisa una danza in suo onore… da ora e per i prossimi giorni sarà ‘ghiacciao meravigliao’.
come darle torto, girandoci a tutto tondo vediamo un ghiacciaio che lambisce i pascoli, le immancabili pecore, il mare, un torrente, le nuvole basse. non manca nulla, o forse sì. fermi ad ammirare il ghiacciaio vicini ad un torrente vediamo spuntare dall’acqua una foca che sta pescando a pochi metri da noi. è come un documentario, ma molto più emozionante. a questo punto possiamo ripartire e correre a casa a prepararci per il nostro appuntamento di domani: il ghiacciaio!!!! ombretta
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Hengifoss

Dopo otto giorni in cui la parola d’ordine e’ stata ” Trottare”, e’ arrivato il momento di tirare un po’ il fiato. Approfittando del fatto che il nostro campo base oggi non cambiera’ ci prendiamo il lusso di dormicchiare un po’ di piu’ prima d’ingolfarci a colazione. Con la pancia piena e l’animo rinvigorito partiamo per la nostra giornata di trekking.
Il tragitto in auto e’ di circa un’oretta e passa per Egillstadir, la cittadina piu’ grande della regione orientale. Niente di trascendentale, il particolare degno di nota e’ il relitto di una nave tirato in secca sulla riva del lago e adibito, a quanto ci e’ dato di supporre, a locale di svago per islandesi annoiati. Da li’ la strada prosegue costeggiando il lago e fa quasi meraviglia accorgersi della presenza di una piccola foresta di conifere intorno a noi. Ah, dimenticavo. Pare che all’interno del lago viva da secoli un mostro-rettile di cui gli abitanti del luogo vanno molto fieri. Oggi pero’ sembra non abbia nessuna intenzione di mostrarsi.
Lasciamo l’auto in un piccolo parcheggio subito dopo il ponte che permette l’attraversamento del lago. Il sentiero che ci si presenta davanti e’ molto tranquillo e poco battuto, per fortuna. Per la sua intera durata segue un profondo canion alla nostra destra. Tra una cascatella e un ‘altra possiamo osservare formazioni rocciose di cui non sto a spiegare il complicato processo formativo, ma il cui effetto visivo e’ senz’altro sorprendente. Si tratta di fasci di basalto dalle forme esagonali. Ce ne sono a decine. Visti orizzontalmente appaiono come infinite colonne scolpite da qualche dio del nord a sorreggere la montagna. Dall’alto invece e’ come trovarsi di fronte a un gigantesco alveare formato da innumerevoli celle pronte a ospitare api mastodontiche. Per fortuna invece e’ solo magma solidificato.
L’obbiettivo della nostra camminata in realta’ e’ un altro ed e’ visibile quasi dall’inuzio. Hengifoss e’ la seconda cascata piu’ alta d’Islanda. Fa un salto di piu’ di 120 metri.
Impieghiamo circa un’ora a raggiungerla. Da vicino e’ davvero spettacolare in tutta la sua imponenza, sebbene in questo periodo dell’anno la portata d’acqua sia ridotta. La parete a U da cui si tuffa e’ formata da strati di roccia colorata che crea un’alternanza stupenda. Grigio, nero, giallo, rosso e avanti cosi’. Nel laghetto in cui termina il suo salto troviamo un perenne arcobaleno che rende anche questo posto a dir poco fiabesco. A guardarla da li’ sotto ci si sente proprio piccoli. E’ un piacere vedere l’acqua in volo danzare a comando del vento. Nonostante tutto, e’ un piacere anche infradiciarsi quando le folate soffiano nella nostra direzione.
Un’ultimo particolare. Hengifoss e’ l’unica cascata che permette a chi ci si avventura di attraversarla e posizionarcisi dietro. E vuoi non provarci? Bagnati per bagnati… E’ emozionante, sul serio. E anche un po’ pauroso.
La discesa la passiamo a ridere e a scattare foto, come al solito. Sorvoliamo sull’hamurger divorato a Egillstadir nel ritorno, molto meglio la nuotata in piscina alla guesthouse. Chicca prima di dormire. Stiamo fumando e ci accorgiamo che sul prato a fianco alla piscina la ricostruzione delle tipiche case lapponi (capanne di legno simili a quelle degli indiani d’america) e’ aperta. Dentro troviamo un falo’ acceso. Ci sediamo qualche minuto sulle pelli di renna posizionate per terra a guardare il fuoco. E’ un altro di quei momenti che mi faranno venire nostalgia dell’Islanda per tutta la vita.

daniele

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le madamine

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hengifoss, arcobaleno e Ombretta

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nella tenda lappone

Going East

Dopo una lunga dormita ristoratrice e una bella colazione prepariamo baracca e burattini e lasciamo il lago Myvatn, direzione Est! facciamo pochi chilometri e lungo la strada una montagna giallognola immersa in fumi infernali ci obbliga ad una sosta. Siamo a Hverir, a est del vulcano Krafla, terra geologicamente attiva, ricca di solfatare e fanghi ribollenti. Leggiamo sulla guida che tutta l’area è come una gigantesca pentola a pressione, potrebbe esserci un’eruzione da un momento all’altro. Noi ce la siamo cavata.
Ritorniamo in macchina con addosso il tipico odore di uovo marcio dello zolfo e ripartiamo direzione Egilstadir. Leggiamo che il tragitto di circa un centinaio di km non è niente di straordinario perchè attraversa un’area deserta. Lo attraversiamo su una strada sterrata ascoltando i Sigur Ros, Björk e Emiliana Torrini. Vi assicuro che non era affatto male, il deserto ha fascino da vendere.
Consigliati dagli ideatori del nostro tour, deviamo in mezzo al niente su un’altra strada sterrata e dopo qualche chilometro ci troviamo davanti una scena d’altri tempi. Un laghetto circondato da lande verdi, qualche pecora e due case degli hobbit. Un cane da lontano ci viene incontro, ci avviciniamo ad una delle case di torba e un cartello con scritto Welcomin ci invita a entrare. Tuffo nel passato. Una lunga tavola imbandita con tazze tutte diverse una dall’altra, il tetto a vista di torba, i muri di pietra, in un angolo una stufa a legna.. Un anziano signore islandese ci viene incontro, ci invita a sederci. Capiamo subito che non parla una singola parola di inglese. Ci porta del thé e del caffè. Come consigliatoci, chiediamo del “lumur”,
gli occhi del gentilissimo nonnino si illuminano. Dopo 5 minuti ritorna con un piattino di lumur appena sfornati, ovvero fritteline simili a pancakes su cui iniziamo a spalmare marmellata di rabarbaro homemade. Il nonnino torna, si riprende il piatto vuoto e lo riporta pieno. Mentre mangiamo elettrizzati dall’esperienza che stiamo vivendo si apre la porta d’ingresso e entra il nostro amico cane. Vorremmo sapere come si chiama, ma il nonnino non capisce neanche “name” e ci parla in islandese come se niente fosse. Ci invita a finire l’ultimo lumur nel piatto, poi torna nuovamente con il piatto pieno e una ciotola con dei dolcetti simili a delle frittele. É tutto buonissimo, si sente il gusto dell’esperienza e della tradizione. Dopo aver comprato un paio di vasetti di marmellata di rabarbaro, salutiamo e il nonnino ci stringe le mani uno per uno dicendoci “welcomin, bye bye”. Torniamo alla macchina entusiasti, il nonnino ci saluta da lontano e ripartiamo, lasciandoci alle spalle la nostra terra di mezzo.
La guesthouse di stasera ha due piscine d’acqua calda all’aperto, una con idromassaggio e acqua bollente, l’altra di 13 metri e acqua a temperatura piú umana. Il resto del pomeriggio lo passiamo a mollo, in compagnia di passerotti autoctoni chiaramente sovrappeso e stormi di oconi in viaggio sulla nostra testa. Bella vita!
Martina

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to the moon and back to the future

partenza prestissimo, meta le balene. alle 9.20 siamo a Húsavík, in fibrillazione attendendo di salpare, incuranti del suggerimento di attendere le uscite pomeridiane. da due giorni le condizioni del mare non consentono gite, il forte vento di ieri ha spazzato via le nubi, cè il sole e questo ci basta.
il viaggio per arrivare al largo è eccessivamente emozionante, alcune colazioni ci passano davanti agli occhi, compresa quella di Martina. incauti e sprovveduti, autentiche volpi di mare, non abbiamo lesinato al tavolo mattutino! Pippi, la nostra guida, ci impartisce le poche regole per la navigazione. first rule: always stay on board! la risata spontanea si congela dopo aver surfato la prima onda! sotto di noi l’acqua è popolata di una miriade di meduse colorate. scrutiamo la superficie del mare per vedere uno sbuffo d’acqua rivelatore della presenza di una balena. anche questa volta la fortuna ci assiste. avvistiamo un’orca e numerose balene, addirittura un trio a pochissimi metri.
durante il rientro vengono offerti dolcetti e cioccolata calda, ma sono in pochi ad approfittarne. Daniele ci dirà che erano entrambi ottimi.
rientrati ci regaliamo un paio d’ore nella città, per la maggior parte trascorse al porto in un piccolo caffè a coccolarci con sole, mare, spiedini e zuppa di pesce…

si riparte per tornare su un promontorio notato in mattinata per la presenza di quello che immaginiamo essere un vecchio essicatoio per il pesce. ci incuriosisce un singolare crocchiare nella sterpaglia; non sono che baccelli che, ormai seccati dal sole, esplodono e si accartocciano. la pianta ci ricorda la soia. qualche foto ai cavalli, sempre compiaciuti per l’attenzione ricevuta, facendo attenzione a non avvicinarci troppo al reticolato elettrificato e di nuovo in viaggio, destinazione Dettifoss.

la prima parte del nostro tragitto costeggia il mare. lo scenario è verdissimo. ci addentriamo nel parco naturale di Jökulsargljufúr, un canyon scavato dal fiume Jökulsá a Fjöllum. superiamo Ásbyrgi, un canyon a forma di zoccolo di cavallo. la leggenda vuole che l’eruzione di uno dei vulcani sotto il ghiacciao V. provocò una spaventosa inondazione che scavò la gola. in realtà altro non è che l’impronta di Sleipnir, il cavallo del dio Odino (grazie alle sue otto zampe può galoppare sulla terra, sul mare e in cielo. non male!!) affrontiamo l’ennesimo sterrato; il paesaggio, finora verdissimo, si fa sempre più brullo. siamo in un deserto grigio, ogni tanto qualche masso. se qualche giorno fa eravamo su marte, ora siamo sulla superficie lunare. tanto più paesaggio si fa scarno, tanto aumenta il nostro stupore e tanto peggiora lo sterrato. scorgiamo, finalmente, Dettifoss. gaudenti balziamo fuori dalla macchina e ci avviciniamo. la cascatella è la più impetuosa d’europa, 44 metri d’altezza e 100 metri di ampiezza, prima di addentrarsi nel canyon.
riprendiamo il nostro viaggio per rientrare a Reykjahlíd. il tramonto sul deserto e i monti davanti a noi ci regala l’ultima emozione della giornata. siamo stanchissimi, quindi ora si va a nanna! ombretta

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qui Martina rideva ancora

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Destinazione: lago Mivatn

Il risveglio non e’ dei piu’ promettenti, nel senso che a darci il buongiorno troviamo una pesante coltre di nubi che butta giu’ pioggia gelata senza lesinare. Solita abbondante colazione prima di accomiatarci dal farmer piu’ simpatico d’Islanda, poi si parte.
La road n.1 lasciandosi Akureyri alle spalle s’inerpica tra lande sempre piu’ scarne. Il computer di bordo della nostra Golf ci richiama per avvisarci che la temperatura all’esterno e’ di 2,5gradi. Nemmeno il tempo di rendercene conto e ci ritroviamo a scollinare sul Farnastadafjall tra pareti di roccia completamente imbiancate. Non piove piu’, nevica! E’ inverno inoltrato per 10 minuti. Nessun trucco, siamo in Islanda.
Il paesaggio cambia ancora. Le colline in questa regione sono piu’ dolci e verdeggianti e la neve torna ad essere pioggia. Il pubblico pagante e’ composto dai soliti cavalli e da qualche impavida pecora che attraversa la strada. Poi dal niente sbuca Godafoss, le cascate degli dei. E non a caso smette pure di piovere. Ci sono un po’ di turisti, ma e’ sopportabile. L’acqua forma una sorta di anfiteatro nella sua rumorosa caduta, perfettamente divisa a meta’ da uno sperone di roccia che sembra quasi una fontana. E mentre il cielo si affaccia dietro le nuvole spunta anche un arcobaleno. Lo giuro, non abbiamo fumato niente.
Ripartiamo dopo una buona mezzora. La strada oggi non e’ lunga e si fa presto a raggiungere la pianura. Il lago Mivatn domina la scena ed e’ un ricettacolo di sorprese. Ci fermiamo a mollare i bagagli nella guesthouse di Reykjahlid (150 abitanti) e a far mangiare l’agnello a Martina.
In seguito ci aspetta Bjarnaflagsstod, un’area geologicamente attiva dove la terra sputa fuori colonne di fumo visibili a chilometri di distanza. L’odore di zolfo e’ fortissimo. Riprende a nevicare. E’ un’immagine abbastanza apocalittica.
Ci spostiamo di pochi chilometri per fare una passeggiata a Dimmuborgir ( traducibile come Castelli Tenebrosi), un campo di lava risalente a soli 2 secoli fa dove l’ eruzione ha scolpito pinnacoli di lava alti anche piu’ di dieci metri.
Ma il piatto forte lo teniamo per ultimo, per quando smette  definitivamente di piovere. Hverfell, un cratere gigantesco alto 450 metri dal diametro di piu’ di un chilometro. L’ascesa non e’ proibitiva ma una volta raggiunto il limite del cratere troviamo Eolo in persona a fare gli onori di casa. Il vento e’ pazzesco, tagliente, la vista da favola. A sud e a ovest il lago Mivatn disseminato da isolotti che riflette la luce solare (finalmente), a nord le colonne di fumo di cui sopra e, alle loro spalle, il Krafta, un massiccio montuso innevato con annesso piccolo ghiacciaio, a est colate laviche che si perdono all’orizzonte. Le raffiche di vento a tratti ci spostano (e io peso piu’ di ottanta chili). Impieghiamo quasi un’ora e mezza a percorrere l’intera circonferenza. Il cono interno del cratere e’ perfetto. Viene da pensare che potrebbe risvegliarsi da un momento all’altro. Siamo sfiniti.
Rientriamo nei nostri appartamenti a prepararci una bella zuppa di broccoli. Ancora il tempo di conoscere i nostri coinquilini canadesi davanti a una tisana calda, uno sguardo alla luna piena sopra il vulcano e poi….

daniele

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godafoss

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in cima al cratere

Up north

Una breve passeggiata per raggiungere la casa della farmer, colazione nella sua cucina in compagnia di due silenziosi energumeni, sicuramente suoi aiutanti nei campi. Poi si parte, direzione Siglufjordur, il punto più a nord che raggiungeremo in questo viaggio. Costeggiando Skagafjordur, numerosi arcobaleni allietano il paesaggio da urlo che ci circonda. Cerchiamo inutilmente di raggiungerne un’estremitá, chissà che in un paese devoto agli gnomi e agli spiriti della Natura non ci troviamo una pentola di monete d’oro. Ci fermiamo per una breve sosta a Hofsós, un piccolo villaggio di pescatori dove scattiamo un pó di foto allo storico Pakkhúsid, un magazzino di legno tirato su dai danesi nel diciottesimo secolo e sopravvisuto alle interperie tipiche della zona. Mi viene un sorriso sulle labbra a pensare che sia il loro edificio piú antico, ma chi viene in Islanda non viene certo per vedere l’opera umana. Proseguiamo lungo la strada n°76, da un lato il mare del Nord, dall’altro rilievi leggermente imbiancati, ogni tanto qualche pecora abbarbicata in pendii davvero accidentati. Subito dopo un tunnel in prossimitá della cima del fiordo, ci fermiamo a Siglufjördur, una ridente “cittadina” di 1200 abitanti. Siamo incastrati tra due montagne, intorno a noi case dai colori variopinti, tipiche di queste latitudini. Sventola una bandiera con il loro “NO GRAZIE” alla  comunitá europea, la scritta recita: “ESB, nej, nej, nej”. Vivranno anche in cima al mondo, ma sprovveduti di certo non sono i siglufjörduresi. Dopo un ottimo panino tipico del posto (con i tacos usati come companatico, mah!) e un dolcetto alla cannella, ripartiamo, direzione Akurey. Subito entriamo in un tunnel di 4 km, un pó strettino direi, infatti le macchine che ci vengono incontro ci aspettano in antri disseminati lungo il tragitto. Un chilometro al massimo all’aria aperta e di nuovo ci infiliamo in un tunnel, stavolta di ben 7 km. All’uscita, ci troviamo a Dalvik, da qui salpano le navi dirette a Grimsey, isolotto a 41 km dalla costa noto per essere l’unica terra d’Islanda attraversata dal circolo polare artico. Ci abitano anche 200 persone e migliaia di uccelli. La prossima volta è non perdere. All’uscita da una strada sterrata, ci inoltriamo in un’insenatura del fiordo e arriviamo ad Akurey, la seconda cittá d’Islanda dopo Rejkyavik, ben 17700 abitanti!! Il sole fa capolino, quindi decidiamo di visitare il giardino botanico. Un’esplosione di fiori e piante, sia autoctone che straniere. Mi fa sorridere una sezione dedicata ai gerani, in questa terra di ghiaccio e  di fuoco sono piante esotiche! Mentre scattiamo delle foto spunta una bellissima gatta dal pelo morbidoso, chiaramente in cerca di coccole. Ombretta, in ginocchio per fotografare, non fa in tempo a rialzarsi che la micia le si piazza dietro la testa, e si accomoda sopra lo zaino. Leggiamo la targhetta che ha al collo, pensando si sia persa, invece abita dietro al giardino. Fa la lamentosa impietosendo i turisti e attirando un sacco di attenzioni e coccole. I gatti sono uguali a tutte le latitudini. Ritorniamo in macchina e ci dirigiamo verso la fattoria che ci ospiterá questa sera, a circa mezzora da Akurey, di nuovo in mezzo alla natura selvaggia. Oh, come mi mancherá tutto questo. Buona notte nè, Martina

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verso la penisola di Snaefellsnes

sveglia, battaglia dei quattro cantoni per il bagno e, per i vincitori, colazione vista mare. un saluto ai puledri golosi ed eccoci nuovamente sulla strada.

torniamo a Grundarfiordur per la spesa e l’odore pungente ci ricorda che il porto della cittadina è il secondo in islanda per l’esportazione di pesce.

attratti da una troupe televisa ci inoltriamo sullo sterrato per Berserkjahraun, che attraversa un campo di lava sommerso di muschio e mirtilli.

prima tappa a Stykkisolmur. saliamo al minuscolo faro arancione sul pendio che domina il porto e qui restiamo in silenzio ad ammirare la cittadina, le sue case dorate, il porto, il planare degli uccelli rallentato dal vento e il mare.

ci rimettiamo in marcia, giusto il tempo per una canzone: pausa fotografica per ammirare il fiordo di Alfafjordur che ci attende oltre il mare. sotto di noi cigni e pecore mangiano fianco a fianco condividendo un pendio e una spiaggia nera. uno dei molti spettacoli inconsueti cui ci abitueremo in queste giornate.

ci immettiamo in un interminabile sterrato, popolato di pecore, tralicci dell’elettricità, case solitarie, balle di fieno, corvi e chilometri di fili a cintare immensi pascoli.

le nuvole basse sembrano vegliare sul nostro viaggio che si conclude a Solvanes.

la cena casalinga ci regala l’illusione di appartenere a questi luoghi, l’indulgente dolcezza dello sguardo di Ely e il tepore della nostra camera il sogno di essere stati ammessi. buonanotte. ombretta.